Sammezzano: castello nel bosco di sequoie
Fuori dall’abitato di Reggello (FI) nel territorio di Leccio, in cima a una collina tutta verde di grandi alberi, spunta l’ultimo piano di quello che chiamano il castello di Sammezzano, fantasia ottocentesca del marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona. Fiorentino, era ricchissimo di danaro e di fantasia, architetto e ingegnere, botanico e bibliofilo ma anche politico, che pur non essendo mai stato in Oriente, era tanto affascinato dal suo stile da sceglierlo per il palazzo in cui trascorrere ore di pace in mezzo a un bosco. In quell’epoca l’orientalismo era di moda, ma forse nel gusto del marchese c’era anche l’eco di un’epoca in cui gli spagnoli Ximenes d’Aragona, suoi antenati e proprietari della tenuta, erano arrivati al seguito di Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I dei Medici, signori di Firenze nel Rinascimento. La Spagna aveva cacciato allora da poco gli arabi dal regno di Granada, dalle favolose architetture di cui c’era certo una nostalgia, magari mai confessata. Durante quarant’anni, dal 1843 al 1889, Ferdinando Panciatichi aveva progettato e realizzato sul posto tutto ciò che gli era servito per rimodellare l’antica dimora con un carattere fiabesco dai tratti orientali. Per il bosco aveva voluto, insieme agli alberi caratteristici della zona, le straordinarie sequoie che solo nell’ottocento erano state viste per la prima volta dagli stupefatti europei arrivati in California, dove i giganteschi alberi plurimillenari svettavano con i loro ultimi rami fino a cento metri di altezza. Il marchese era stato fra i primi a metterle a dimora in Italia e nonostante molte non abbiano resistito ai danneggiamenti per le più diverse cause, durante il restauro del bosco ne sono state piantate di nuove. Lungo la strada sterrata che sale verso il castello, da decenni in attesa di una nuova destinazione, alcune sottili sequoie sempreverdi dalle foglioline scure, hanno fusti che arrivano a sei metri di circonferenza e un’altezza intorno ai quaranta.
Grandi lecci, tigli ma anche cedri del Libano si mescolano ad altri alberi boschivi e in un grande prato vivono in armonia le tre specie di cupressacee di origine americana più diffuse nei parchi italiani: un cipresso di Lawson, un libocedro, una sequoia gigante. Si assomigliano vagamente nelle foglie simili a quelle dei nostri cipressi, ma i loro frutti legnosi sono molto diversi e il cipresso di Lawson ha quelli più piccoli, numerosissimi ma con un diametro che spesso è inferiore al centimetro. Nella parte bassa del parco una coppia di sequoie sempreverdi sono unite alla base per circa due metri, per poi dividersi, raggiungendo il cielo a cinquanta metri di altezza. In totale ce ne sarebbero circa duecentocinquanta. Queste sono le glorie arboree di un bosco che favorisce le fantasticherie e prepara ad immedesimarsi nello spirito di quel palazzo dove i saloni riprendono nella struttura e negli ornamenti i motivi vegetali cari alle architetture arabe e indiane, trasportando come su tappeti volanti verso la meraviglia. Sono rare le occasioni in cui il pubblico è ammesso alle visite guidate, utilizzando quella specie di lampada di Aladino che è il telefono intelligente dove di quando in quando appaiono gli avvisi di date e orari in cui assicurarsi una prenotazione. Per qualche tempo nel ventesimo secolo il castello di Sammezzano era stato albergo di lusso, ma senza quella fortuna che avrebbe meritato. Così era passato in altre mani e il suo destino è ancora oggi incerto.
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