Equiseto, licopodio, selaginella, antichissimi ancora fra noi
Quando gli alberi ancora non c’erano, ma prosperavano i licheni, i muschi e le felci che potevano essere alte come palme, i licopodi e gli equiseti, oggi piccoli come erbe, erano giganteschi. Nessuna fra tutte queste piante, però, portava fiori e frutti. Per diffondersi nel mondo, allora come oggi, affidano al vento le spore, minuscoli granelli come quelli delle felci, rilasciati da uno strobilo (una specie di pigna), che a primavera si innalza al culmine di un fusticino cavo e di colore tra il giallo e il marrone, incapace di fotosintesi e dunque effimero.
Liberate le possibilità di futuro per le nuove piante, si affloscia e scompare nel terreno umido e poco fertile ma ricco di silice e dunque di sabbia o argilla, lasciando emergere eleganti bacchette ornate da eleganti anelli marroni su sfondo verde, che si ripetono regolarmente fino alla sommità e da cui spuntano poi le filiformi, delicate frange che sono le foglie. Il nome equiseto deriva da una presunta somiglianza di queste belle piante a delle code di cavallo.
Anche i licopodi hanno un aspetto affascinante ma il loro strobilo con le spore cresce sulle piante che compiono la fotosintesi. Le spore hanno la particolarità di essere molto infiammabili e noi umani abbiamo trovato il modo di utilizzarlo per effetti di fiammeggiamento scenografico e didattico di grande effetto.
La selaginella, parente di felci e muschi a cui assomiglia, è abbondante nelle foreste umide dell’America centrale e meridionale ma cresce anche sulle montagne europee e alle isole Canarie. Si è adattata a crescere pure in climi asciutti dove, quando manca l’acqua, arrotola le sue foglie robuste e sembra morire disseccandosi, ma invece resiste per tutto il tempo necessario al ritorno dell’umidità che le permetta di distendersi e riprendere a verdeggiare. Ecco perché è chiamata “pianta della resurrezione”.
Le prodezze delle felci e dei licheni possono essere lette negli articoli dedicati.
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