Il museo del tessuto di Prato: la natura in fabbrica
Appena si tocca qualsiasi argomento che riguarda le attività umane, chi sa guardare si accorge del ruolo fondamentale della natura. Così avviene nel museo del tessuto di Prato, la città che già nel medioevo era conosciuta per le sue fabbriche di tessuti lungo il fiume Bisenzio, la cui acqua era indispensabile per lavare la lana e lavorarla, con l’energia che a quei tempi, facendo girare le ruote dei mulini, azionava direttamente i macchinari. La vicina Firenze aveva a disposizione il più poderoso fiume Arno, oltre a forze economiche e politiche maggiori. E’ così che Prato ha cercato nel riciclo dei tessuti usati, la possibilità di una produzione alternativa più vasta ed economica. La lavorazione della lana richiedeva molta acqua per la pulizia, la tintura e la follatura. Quest’ultima serviva a dare compattezza ai tessuti battendoli, a volte fino a renderli impermeabili, quando ancora non si conosceva la gomma e tanto meno la plastica. Per togliere il grasso e altre impurità, in questa operazione ci si aiutava anche con una particolare argilla poco plastica, detta argilla smectica, che ancora oggi si utilizza per la purificazione di oli e petroli, per la decolorazione e vari altri impieghi. Nella stanza del museo dove si segue la lavorazione della lana, si trova un pezzo di “terra da follone”. A Prato c’è ancora la via della gualchiera, (un altro nome della follatrice) e per trovare qualche fabbrica storica si può risalire il Bisenzio, in direzione di Vernio.
Nel museo del tessuto, sistemato nei locali dell’ex fabbrica di cimatura, accanto alla principale biblioteca comunale della città, si comincia il percorso conoscendo i filati naturali e artificiali che fin dall’antichità sono stati utilizzati per dare ai nostri corpi la protezione e la possibilità di rendere pubblica la condizione sociale e i gusti con l’abbigliamento.
Agli animali abbiamo preso la lana e la seta, ma anche il bisso, che è il filamento con cui i molluschi si aggrappano alle rocce. Alle piante di lino, canapa, cotone, juta, ginestra, ortica abbiamo preso le fibre, come è avvenuto con gli alberi di tiglio e tasso. E se guardiamo i tronchi di varie palme, ci accorgiamo che sono avvolte in filamenti intrecciati con trama e ordito, come i tessuti a cui ci siamo probabilmente ispirati.
Nel ventesimo secolo, dalla polpa di legno abbiamo ottenuto la viscosa, dalla caseina del latte il lanital, dal mais il pla, dai granchi il craybon. Anche con i metalli sono stati realizzati tessuti e soprattutto con la plastica, da cui si ottiene il confortevole e caldo pile. La plastica si fa col petrolio, da cui derivano il nylon, il perlon, il terital e tante altre fibre del ventesimo secolo. E il petrolio si è formato dalla decomposizione degli animali che popolavano il mare, insieme al plancton e ai vegetali in tempi antichissimi. Anche i colori, che adesso si possono produrre in laboratorio, fino all’ottocento erano tutti di origine vegetale, animale e minerale.
E’ bello accorgerci che, venendo tutti dalla natura, impariamo a ricreare applicazioni che lei aveva distribuito fra le diverse forme di vita. Da questo possiamo sentirci ispirati ad utilizzare con maggior saggezza le risorse.
Allora possiamo continuare la visita del museo, con le sue collezioni di tessuti preziosi antichi e moderni, i suoi oggetti, i suoi filmati, con l’animo appagato di chi sente di esserne parte e non solo spettatore.
Per chi è interessato alla natura ci sono begli alberi monumentali a Prato e dintorni, oltre al centro di scienze naturali