La città della gioia
Pubblicato nel 1985 da Dominique Lapierre, da una parte fa inorridire con le turpitudini, le miserie, la sporcizia in cui si dibattono i poverissimi di una bidonville di Calcutta. Al tempo stesso stupisce e avvince per la capacità di sorridere, di divertirsi pazzamente, di trasformarsi per ogni festività religiosa o cerimonia importante della vita sociale, di quelli che sembrerebbero potersi solo disperare. Madre Teresa, così come i protagonisti di questo libro di cruda verità, erano immensamente felici di condividere una simile esistenza, ricompensati dall’amore e dalla gratitudine dimostrata da coloro con cui passavano i giorni e le notti, aiutandoli con sincera e profonda dedizione.
Sapere apprezzare fino in fondo le cose belle, da parte di chi ha perso tutto, sembra la grande spinta che li solleva dall’abiezione fino a rendere capaci di ciò che per i più benestanti è spesso impossibile. Essere felici di immergersi nell’orrore e restarci, per chi si dedica totalmente al prossimo, può essere motivato oltre che da un grande cuore, dal sapersi utili, dal poter amare senza essere respinti, dal sentire che la propria vita serve davvero a qualcosa e a qualcuno. Il senso di inutilità è probabilmente ciò che fa più male e che può portare alle più estreme conseguenze negative, diverse a seconda delle proprie inclinazioni.