Il Monte Nuovo (NA)
La porta del regno infero, gli antichi credevano si trovasse presso il lago d’Averno nei Campi Flegrei, pieni di piccoli vulcani e scossi da continui terremoti. L’impressione di accesso alle viscere della terra era rafforzata dall’odore nauseabondo dello zolfo quando brucia e che si sente nel basso vulcano chiamato solfatara, dall’accesso fin troppo facile. Lì il terreno caldo si alza e si abbassa di metri anche in pochi giorni e denuncia così il magma nascosto che fa bollire l’acqua e schizzare fango bollente, vapore e fumo dalle aperture nel suolo grigio. Fino a cinque secoli fa, non era uscito altro
Il 28 settembre del 1538, però, il terreno si era alzato di oltre sette metri e per questo il mare davanti Pozzuoli si era improvvisamente ritirato lontano, lasciando a secco enormi quantità di pesci, raccolti a carrettate dagli abitanti. Il lago Lucrino in quel periodo era parte del mare e il giorno dopo, davanti alla sua baia, il terreno di una valletta si era dapprima depresso, poi aveva cominciato a lievitare e infine era esploso con grandi boati, mentre fuoco, fumo, pietre, cenere e fango erano stati lanciati tutt’intorno. Il putiferio era continuato per tutta la notte e la gente, impaurita, aveva in gran parte cercato scampo verso Napoli, mentre il villaggio di Tripergole terminava la sua storia sotto la lava, insieme alle terme e ai resti della villa di Cicerone. Il viceré Don Pedro di Toledo, invece, era arrivato dalla capitale con il suo seguito per assistere al fenomeno. Anche una processione con reliquie di san Gennaro si era messa in cammino per scongiurare le peggiori conseguenze di quell’affascinante ma tragico spettacolo. Il frastuono e le eruzioni, nascoste in parte dal fumo, erano durate per le quarantott’ore necessarie al formarsi del vulcano. Poi la calma era sembrata ristabilirsi e il viceré con alcuni studiosi vi era salito per guardare nella caldera. Avevano avuto la fortuna di poter tornare alla loro postazione sicura, prima che ci fossero altre esplosioni, terremoti e fumo, durante la settimana in cui si erano alternate le turbolenze alla calma e tutti aspettavano con ansia la fine. Quando era sembrato che il disastro si fosse concluso, un altro gruppo di persone era salito sul pendio, imitando il viceré. Ma un’ultima improvvisa e terribile sfuriata del vulcano ne aveva uccise ventiquattro.
Pozzuoli era sepolta sotto un lenzuolo di cenere spesso trenta centimetri, che si assottigliava nell’avvicinarsi a Napoli. Una parte aveva raggiunto la Puglia e la Calabria, portata dal vento. Allora era iniziata la quiete sulla nuova collina, che nel suo punto più alto raggiunge solo i 133 metri e nel fondo del cratere è quasi a livello del mare. Ma l’hanno chiamata monte, forse per fare onore alla novità di essersi mostrato mentre si formava, per la prima volta nella storia locale.