Alberi sacri nel mondo 2
Se prima del cristianesimo in Europa si veneravano certi alberi come sacri, perché si intuiva il loro grande influsso sull’aria, l’acqua, la terra e il fuoco, oltre che su tutti gli esseri viventi, in molte nazioni del resto del mondo questo avviene ancora. A Cuba, dove si continua a praticare la santeria, religione sincretica che associa ai santi cattolici le antiche divinità africane yoruba degli schiavi portati lì nei secoli scorsi, la Trichilia havanensis, comunemente chiamata siguaraya è stata protagonista anche di una celeberrima canzone di Benny Moré (1919-1963) che si ascolta ancora oggi. In Costarica si chiama uruca.
Un altro albero sacro a Cuba e in Africa, come ad esempio in Senegal, è la Ceiba pentandra, che si conosce anche come albero del kapok, spettacolare per le sue radici a contrafforte, che si vedono nella foto. Il kapok è la lanugine bianca di cui sono pieni i baccelli dei suoi frutti e che serve a far volare lontano i minuscoli semi, come avviene col nostro pioppo femmina. A questi alberi si portano ancora offerte e si prega sotto la loro chioma. A Santiago de Cuba c’è una ceiba ultracentenaria che ha avuto il titolo di “albero della pace”, perché sotto di lei nel 1902 si è fatta sventolare per la prima volta la bandiera cubana, dopo la liberazione dal dominio spagnolo. In Costarica, vicino al parco del vulcano Tenorio, un’altra ceiba pluricentenaria è stata nominata albero della pace dall’ex presidente Oscar Arias Sanchez nel 1989.
In Madagascar, nelle vicinanze di Morondava, dove ci sono baobab altissimi ritratti in un gran numero di foto turisiche, ce n’è uno sacro dalla circonferenza di molti metri, vicino al quale si trovano offerte di riso e rum. E’ del genere Adansonia grandidieri, diverso dall’Adansonia digitata del continente africano. La sacralità e il conseguente rispetto verso questi alberi è dovuta alle loro virtù di grande beneficio per tutti e il baobab ne ha davvero tante medicinali e nutrizionali; oltretutto se ne mangiano le foglie come verdura e con la spuma bianca dei frutti si fa un’ottima, sostanziosa bevanda. Nel tronco dal legno ad ampi alveoli immagazzina tonnellate d’acqua, che in caso di necessità si può bere facendo un foro e la sua corteccia fibrosa serve per fare cordami e molto altro. Nella zona di Tuléar ci sono baniani (Ficus bengalensis) sacri, di cui nella foto se ne vede la caratteristica che permette di sostenere rami molto lunghi: le radici aeree che dalle branche principali scendono verso terra e vi si immergono, per diventare tronchi. Così un solo albero può estendere la sua chioma fino a diventare un boschetto.
In India il grande Peepal, Ficus religiosa, con le foglie simili a quelle del nostro tiglio, ma con una lunga punta, è ritenuto l’albero sotto il quale Shakyamuni, il Buddha, aveva avuto l’illuminazione. L’imponente sempreverde Rudraksha, Elaeocarpus ganitrus ha dei frutti con grandi noccioli dalla bellissima forma, come se fosse scolpiti, portati in collane e bracciali dagli asceti ma anche dalle persone comuni. Si ritiene che abbia moltissime qualità guaritrici.
Per i maori della Nuova Zelanda è il kauri, Agathis australis, un enorme albero dalla corteccia color grigio chiaro ad essere sacro.
I giapponesi venerano i sempreverdi Hinoki Chamaecyparis obtusa e la Cryptomeria japonica, oltre al Ginkgo biloba e la Cleyera japonica, chiamata Sakaki.
In Australia gli aborigeni considerano sacri i grandi eucalipti fantasma, dalla corteccia bianchissima, i Corymbia aparrerinja.