Alberi sacri nel mondo 1
L’albero di corallo, Erythrina lysistemon, è uno degli alberi sacri del Sudafrica per le sue molte qualità medicinali e magiche, oltre che per la sua generosità e bellezza. Il nome si deve al tono di rosso dei suoi fiori che dalla fine dell’inverno e a primavera ornano a lungo quest’albero deciduo di media grandezza, amato anche per i suoi frutti, i cui semi sono usati per farne collane. Attecchisce facilmente a diverse altitudini e su vari tipi di suolo che, come leguminosa, migliora e dove è impollinato da insetti ed uccelli. Molti animali di ogni specie si nutrono delle sue diverse parti. Lo si piantava sulle tombe dei capi zulu ed è stato fra i primi alberi selvatici ad essere scelto per i giardini e come alberatura stradale. Il suo legno spugnoso, tenero e leggero lo ha reso adatto a farne canoe.
Il Marocco ha come albero sacro l’argan, Argania spinosa, dai frutti gialli simili alle olive, da cui si estrae un olio commestibile e curativo di numerosi problemi della pelle. Lo si trova, a volte, coi rami carichi di capre salite per mangiarsi foglie e frutti, che ingoiano coi semi durissimi. Il loro stomaco che digerisce di tutto, intacca appena i noccioli e li lascia tornare alla terra quasi intatti, quel tanto che basta per attecchire più facilmente in un campo libero, dove ha bisogno di allearsi più di altri con i funghi, per assorbire i minerali. Le donne li raccolgono e, dopo averli lavati, li lavorano per ottenere l’olio dalle tante virtù. L’albero è usato anche per la lotta alla desertificazione, data la sua capacità di resistere nelle peggiori condizioni con le sue lunghe radici che cercano l’acqua in profondità.
L’Araucaria araucana è un grande albero sempreverde antichissimo, fra i pochi ad essere scampati alle distruzioni dell’epoca giurassica, insieme alla welwitschia, alla cicadina, al ginkgo. E’ caratteristico del Cile e del sud dell’Argentina, dove è sempre stato sacro dei Mapuche, i nativi del luogo chiamati anche araucani, da cui il nome della conifera dalle piccole, carnose foglie spinose simili a grosse scaglie che crescono fittamente embricate sui rami, rendendoli inaccessibili agli animali. Ha sessi distinti e le femmine portano a maturazione ogni tre autunni dei frutti enormi, pesanti anche dieci chili, pieni di grossi semi commestibili e nutrienti come i nostri pinoli. Resiste molto bene anche al freddo intenso e in Italia viene piantata nei giardini delle regioni a Nord. Gli altri generi di araucaria, originari di altri Paesi australi sono più adatti a climi più miti come la Liguria o il sud.
Il sicomoro – Ficus sycomorus è sacro in Kenya, venerato soprattutto grazie al fatto che, con le sue lunghe e potenti radici, oltre a mantenere saldo il terreno trova l’acqua dove altri non arriverebbero. Quando raggiunge una falda ricca, l’acqua risale lungo le radici creando una sorgente, dunque un bene di grande valore. Tanto i Kikuyu quanto i Masai compiono tuttora cerimonie in suo onore e si riuniscono sotto la sua cupola. Nell’antico Egitto era sacro alla dea Hathor, dea dell’amore e della gioia, ma anche patrona dei morti. Infatti si credeva che al tramonto mangiasse il sole per poi farlo rinasce il mattino seguente. Per questo il sicomoro era simbolo di immortalità e lo si usava per farne sarcofagi. Hathor era anche patrona delle sorgenti del Nilo e, dato che il sicomoro favorisce le sorgenti, è chiaro il motivo per cui fosse il suo albero prediletto. Adesso è diffuso soprattutto al di sotto della penisola arabica. E’ stato menzionato nelle sacre scritture ebraiche e nel vangelo. Si tratta di un grande fico con ampie foglie ovali e con frutti (in realtà fiori) simili a quelli del nostro fico.