Cotone dai bei fiori e bei frutti
I bianchissimi, grandi fiocchi di compatta lanugine, trattenuti da quello che resta delle capsule disseccate che li avevano racchiusi, sono belli come fiori e fiori sono creduti da tanti. Sono invece i frutti del cotone, che proteggono i semi con una fitta coltre, dalla puntura di insetti capaci di ucciderli. Le migliori qualità del genere Gossypium hanno corolle grandi e belle, degne di ogni giardino ma in India e in America fin dai tempi più antichi sono state coltivate per le fibre che si possono tessere senza le lunghe lavorazioni necessarie per altre piante. Anche in Europa il cotone è sempre esistito come albero e come pianta erbacea, dalle fibre rosse o gialle. Il bianco con cui tutti lo conosciamo è conseguenza del continuo lavoro di selezione che gli uomini hanno compiuto per piegare il cotone alle loro esigenze. Recente è il cotone azzurro, selezionato per fabbricare i blue jeans senza doverli tingere. Anche la coltivazione delle piante più basse per facilitare la raccolta dei fiocchi, che è comunque molto laboriosa e faticosa, dipende da un volere umano. Occorre infatti fare attenzione a non cogliere i batuffoli difettosi o immaturi e anche a non prendere con la fibra, parti secche della pianta. La natura si adatta solo fino ad un certo punto alle nostre esigenze e la qualità migliore del cotone rimane quella dei climi tropicali, in cui piove molto nei primi mesi di vita della pianta e c’è gran sole quando matura il frutto. Questo avviene in modo naturale in pochi posti e comunque può non verificarsi con regolarità. C’è dunque bisogno di enormi quantità d’acqua, oltre che di molti insetticidi, erbicidi, concimi, così che l’innocente specie coltivata troppo intensamente, diventa suo malgrado nociva per il pianeta e per chi lo lavora. Per questo si sono adottati da decenni metodi di coltivazione e specie che non hanno bisogno di molta acqua, né di tanti pesticidi, rendendo il cotone degno dell’aggettivo “biologico” (in inglese “organic). Non è esigente per il tipo di suolo, ma preferisce terreni silicei, dove in circa sei mesi appaiono le capsule che maturano in tempi diversi, rendendo la raccolta lunga e difficoltosa.
In Sicilia, Calabria e Spagna, fin dalla dominazione araba si è coltivato il cotone, anche se in quantità modeste, ma è stata l’India a lavorare da sempre la fibra adatta ai climi molto caldi, mentre in Cina, specializzata nella produzione della seta, si dice sia arrivato solo nel tredicesimo secolo. I greci lo conoscevano come tessuto usato dai persiani e gli egiziani lo coltivavano come curiosità. Invece i nativi americani del Messico, Perù e Brasile ne facevano grande uso. Nel diciassettesimo secolo, in Virginia, gli statunitensi di origine anglosassone e francese sono diventati i primi grandi coltivatori, sfruttando gli schiavi neri o i bianchi poveri, per un lavoro massacrante soprattutto nella raccolta, cui segue l’asciugatura, la cernita e la sgranatura, vale a dire l’asportazione dei semi che già nell’ottocento veniva fatta con una macchina. Dai semi si ottiene un olio buono anche per l’alimentazione, mentre le fibre pressate e imballate vengono spedite verso le città cotoniere, di cui Liverpool era ed è fra le più importanti.