Bosco del Sasseto di Torre Alfina (VT)
A Torre Alfina, seicento metri di altitudine nel comune di Acquapendente, il passato vulcanico del Lazio ha lasciato le sue tracce nell’antico Bosco del Sasseto. Man mano che ci si inoltra sotto le fronde, diventano sempre più numerosi e grandi i macigni da cui deriva il suo nome. Gli alberi si sono dovuti installare negli scarsi spazi liberi lasciati dalle pietre che, come i fusti legnosi, si sono in buona parte rivestite di muschio perché è a nord che si rivolge il pendio. Nei punti più umidi vi si sono aggiunte piccole felci. Così anche in inverno il verde accompagna gli stretti sentieri tortuosi, dove ci si vorrebbe fermare per avvicinare il naso alle pellicce di muschio fra cui serpeggia anche l’edera, per aspirarne il profumo e guardare quali pianticelle vi si sono installate e quali semi si sono nascosti aspettando una buona occasione per germogliare. Alcuni alberi come i lecci si sono potuti sviluppare fino a diventare voluminosi ultracentenari, altri sono diventati adulti senza poter crescere per mancanza di spazio. I tronchi sono spesso contorti, per aver inseguito la luce del sole negli spazi che si aprivano qua e là tra le chiome altrui. Molti sono cavi per le infiltrazioni d’acqua nei buchi prodotti per le cause più diverse, che col tempo fanno sbriciolare il legno più vecchio. I funghi, capaci di scomporre con le loro ife molte sostanze che gli alberi non potrebbero assimilare senza il loro aiuto, nei percorsi sotterranei intrecciati alle radici sono veri amici per loro. Ma ci sono anche quelli che, una volta installati su un tronco come fanno i legnosi a mensola, ne annunciano la fine prossima. Capita di trovare rami caduti e interi alberi sradicati ma ancora vivi, che continuano in una nuova posizione la propria esistenza. Qui il bosco viene lasciato al suo naturale evolversi, senza intervenire, perché è anche da questo che deriva il suo fascino antico.
I proprietari che si sono succeduti nel castello sul punto più alto della collina, hanno posseduto anche il bosco nel passato, fino a che nel 1880 il banchiere e conte Edoardo Cahen ne è diventato l’ultimo signore e ha voluto condividere il piacere di trascorrervi il maggior tempo possibile con gli amici che lo andavano a trovare. Con l’aiuto di architetti e paesaggisti ha fatto tracciare per questo dei sentieri e ha fatto innalzare muretti a secco per rendere più agevole il percorso, senza alterare il carattere del bosco. Solo nell’unico punto in piano aveva voluto una cappella neogotica come tomba di famiglia, ma che è rimasta solo sua.
I sessantuno ettari di quello che è stato dichiarato Monumento Naturale sono adesso di proprietà del Comune che vuole preservarlo da ogni danno, consentendone l’ingresso solo ai gruppi accompagnati da una guida.
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