Desertificazione: come fermarla
Le coltivazioni intensive, che si estendono su grandi spazi da cui si eliminano alberi e siepi, richiedono sempre più acqua per le irrigazioni, che evaporando rapidamente lascia nel terreno molti sali, rendendolo sempre più sterile. Si aggiungono più concimi, pesticidi e acqua prelevata dalle falde, che si abbassano mettendo in difficoltà tutta la vegetazione anche fuori dai campi. Muoiono alberi e piante varie, insieme ai tanti piccoli animali che avevano contribuito alla buona salute dei terreni con tante micro-azioni. Aumenta l’inquinamento dell’acqua e del suolo. Il terreno viene abbandonato e tutta la zona comincia la sua trasformazione in deserto. Questo destino tocca anche i luoghi dove viene fatto un disboscamento selvaggio, incendi e dove gli erbivori sfruttano eccessivamente le poche presenze vegetali. Con l’innalzamento della temperatura e il comportamento più estremo del clima, le condizioni peggiorano. Questo è solo un riassunto generico, per dare una vaga idea del percorso di sterilità a cui sono soggetti i terreni.
Anche in Italia sta succedendo, col contributo della continua cementificazione per costruzioni spesso inutili, dell’inquinamento, dei consumi superflui. Dai Paesi più poveri arrivano da noi sempre più immigrati, che fuggono dalla fame causata anche da queste condizioni, arrivate presso di loro a livelli estremi.
Invertire l’espansione del deserto è una buona strada per ridurre i guai del mondo e da anni si sta realizzando una riforestazione chiamata Muraglia Verde nell’Africa Subsahariana, ma anche in Cina e nei tanti luoghi degradati dalla mancanza di senso della misura degli uomini.
Coinvolgendo le comunità locali e utilizzando tecniche antiche si stanno piantando alberi adatti alle condizioni più difficili, che difendono il suolo dal sole eccessivo, proteggono le colture, richiamano i piccoli animali utili alla buona salute dei terreni. Ci sono anche singole persone che da anni lavorano da sole a questo scopo. Ecco qui di seguito come.
Prima di tutto occorre scegliere gli alberi giusti, vale a dire quelli più resistenti alle condizioni estreme, come le acacie, la balanite, il giuggiolo della Mauritania, il tamarindo, il neem, la casuarina, la tamerice. Hanno radici che penetrano per vari metri nel sottosuolo per trovare l’acqua necessaria, ma quando sono piccole hanno bisogno di aiuto.
Vanno messe a dimora all’inizio delle stagione delle piogge, ad esempio con la tecnica zai: si scavano tante buche di 25 cm di diametro e 20 di profondità, distanti 90 cm, mettendo sul fondo una manciata di compost che migliora il terreno e lo aiuta a trattenere l’umidità. Quindi si aggiungono uno o più semi. Quando piove, l’acqua riempie la buca, privilegiandola rispetto al resto del terreno e rendendo così necessaria una quantità molto inferiore di irrigazione successiva rispetto ad un terreno lasciato com’è. Per aiutare il procedimento, si fanno dei cordoni con zolle di terra ricca di sedimenti, che trattengono ulteriormente l’acqua e rilasciano i nutrienti.
Un sistema analogo è quella della demi-lune (mezza luna). Appena prima delle piogge si ara la terra in forma di mezzaluna di circa tre metri di lunghezza e venti centimetri di profondità, poi nella terra smossa si seppellisce del compost o letame maturo e le piante. Il cordone di terra rialzata, quando piove trattiene l’acqua, mentre gli insetti e i vermi favoriti dal concime scavano una serie di gallerie, aiutando l’aerazione del terreno e facendo così penetrare l’acqua in profondità.
Dove ci sono molti sassi calcarei si possono costruire dei Tu’rat, mezzelune di qualche metro di lunghezza e mezzo di altezza al centro, per far condensare l’umidità notturna dell’aria fra le pietre, che poi percola nel terreno e disseta le piante, proteggendole anche dal vento, contro cui sono disposte.
Dove ci sono più soldi, come in Arabia Saudita, si piantano alberi in uno spazio protetto da vaschette di cartone modellato in modo adatto a proteggere la pianticella, da riempire poi con acqua che filtra verso le radici. Comunque il terreno dove si è messa a dimora una piantina va sempre schermato con una pacciamatura di paglia, corteccia o altro, per evitare l’evaporazione dell’acqua e la crescita di erbe che ruberebbero il necessario all’alberello. Latecnica chiamata permacoltura è molto consigliata per rendere le piante autonome anche in condizioni difficili.
Un mio articolo sugli alberi contro il dissesto idrogeologico si trova qui con vari collegamenti ad altri articoli come quello sugli alberi che frenano il deserto
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