Fili di Vetro tra Venezia e il mondo
C’è un filo antico teso dagli olandesi, dai portoghesi, poi dalle altre marine, che collega Venezia al resto del mondo: è un filo di vetro. La bellezza dei colori e la luminosità di questo materiale, con le perline da cucire sui tessuti o sulle pelli, oppure infilate per realizzare monili e oggetti, ha sempre affascinato i popoli dell’Africa, dell’Asia e dell’America che se ne sono adornati in passato e continuano a farlo. Le etnie degli Xhosa e degli Ndebele che vivono nell’estremità sud del continente africano ne hanno aumentato l’uso a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, ma le perle di vetro arrivavano già da secoli dallo Sri Lanka, dall’India del sud e dal Golfo persico per mezzo dei commercianti arabi e swahili. La facilità di trasporto e conservazione di questo materiale lo aveva fatto impiegare anche come moneta allo stesso modo delle conchiglie ed era comunque oggetto di scambio di merci, dato che non esistevano valute accettate comunemente.
Le perline di corallo venivano acquistate in grande quantità già nel tardo quindicesimo secolo dall’imperatore del Benin, in quella che è l’attuale Nigeria, i cui abiti di gala e accessori ne erano interamente ricoperti. Anche il Camerun era un importante acquirente.
Dal sedicesimo secolo principalmente gli olandesi e i portoghesi avevano portato ovunque le perline di vetro da Venezia, scambiandole con oro, rame, tabacco, avorio, gusci di tartaruga. Venezia, che era conosciuta all’inizio del secondo millennio per le sue vetrerie, nel tredicesimo secolo le aveva spostate sull’isola di Murano a causa del pericolo rappresentato dai fuochi delle fornaci necessarie alla fusione del vetro. Le perline, però, si realizzano tagliando in tanti minuscoli cilindri delle cannucce già pronte, smussandoli poi al calore di fuochi molto piccoli e dunque non pericolosi. Per questo sono state prodotte sempre in città.
Già nel quattordicesimo secolo Venezia vendeva le sue perline in Europa e lungo il Mediterraneo, ma quando nel sedicesimo secolo si sono intrapresi viaggi negli oceani, sono arrivate nei luoghi più lontani. In alcuni, come il Ghana, è derivata una produzione locale molto raffinata.
E’ stato a partire dalla metà del diciannovesimo secolo che in Sudafrica si sono sostituiti i materiali tradizionali per gli ornamenti, che erano stati pelli, piume, semi, conchiglie e metalli, con le perline di vetro in diversi colori e fogge per marcare le differenze sociali e di condizione. Nel periodo dell’apartheid l’abbigliamento e i monili di perline sono stati simbolo di tradizione e dunque di indipendenza dei neri. Angola, Mozambico, Ghana ne hanno fatto grande uso, i Masai del Kenya e della Tanzania e i Dinka del Sud Sudan indossano tuttora ornamenti fatti di perline colorate, realizzati dalle donne in diversi colori che hanno un significato facile da condividere anche per noi: nero potere e protezione, blu lealtà e verità, marrone terra e stabilità, verde abbondanza e fertilità, arancio coraggio e vitalità, rosa cura e amore, viola regalità, spiritualità e saggezza, rosso fiducia e vitalità, turchese comunicazione e consapevolezza , bianco luce e purezza, giallo energia e gioia. Ogni popolo ha le sue preferenze e ciò che piace agli uni è indifferente ad altri, ma la bellezza e la versatilità di questo materiale si presta anche per la realizzazione di oggetti rituali e magici, oltre che per identificare le diverse etnie, la condizione sociale, i momenti salienti della vita. Nel corso dei secoli sono stati realizzati pezzi di straordinaria bellezza e ancora oggi è possibile trovare monili e accessori che si possono definire oggetti d’arte oltre che di alto artigianato.
collari tipici sudafricani – foto da pngfuel