Gatto di biblioteca
In un freddissimo giorno di gennaio del 1988 a Spencer, nell’Iowa, dalla cassa dove si restituiscono i libri nelle ore di chiusura uscì un rumore. Sprofondato nel buio del mucchio di volumi in attesa di tornare sugli scaffali c’era un minuscolo gattino, talmente freddo da riuscire a stento ad emettere un rantolo. Vicky, la direttrice della biblioteca, lo prese e l’avvicinò subito al petto per scaldarlo, perché era tutto un tremito, ma solo un bagno caldo sarebbe riuscito a far fluire in tempo il calore in quel corpicino così provato dalla crudeltà umana, perché potesse sfuggire alla morte. Mai gatto sarebbe stato più grato di lui per l’immersione in acqua, dove la carezza del calore e delle mani femminili lo avevano riportato alla vita e il sapone aveva rivelato sotto il grigio della sporcizia, il colore fulvo del suo ancora scarso pelo. Appena asciutto venne nutrito e poi tenuto in braccio perché potesse riprendersi dall’abbandono brutale, che però lo aveva fatto arrivare nelle migliori mani possibili. Il gattino che era stato chiamato Dewey, dagli umani riceveva ormai tanto affetto e premure da farlo affezionare senza riserve e ricambiare con totale fiducia e dolcezza ogni contatto. Mentre riprendeva rapidamente le forze e la notizia del suo arrivo si diffondeva ovunque in città, fu deciso di farlo abitare in biblioteca, accudito dal personale che se ne era innamorato subito, così come era successo alla maggior parte degli utenti. Si sapeva che un certo numero di biblioteche ospitava un gatto e l’idea piaceva molto, anche se qualcuno aveva trovato mille obiezioni.
Dewey, però, aveva un carattere così affettuoso e sensibile, da risvegliare le simpatie di chiunque. Ogni giorno andava incontro e salutava in modo speciale prima di tutto Vicky, naturalmente, ma aveva attenzioni per ciascuno del personale e per i tanti visitatori. Si accoccolava a turno, facendo le fusa, in grembo ai lettori adulti quanto ai bambini, che si sentivano privilegiati quando venivano scelti e sorridevano molto più di quanto avessero mai fatto. I giochi e le prodezze del gatto poi, erano diventati un argomento di conversazione che facilitava i contatti tra le persone e scioglieva le rigidità dei più restii. Insomma, Dewey anche quando dormiva svolgeva una missione importante di pacificazione nelle famiglie, perché parlare di lui era l’ottimo innesco di un dialogo prima assente, oltre che di consolazione per chi era solo. Era diventato anche un graditissimo soggetto per i giornali, le radio, le televisioni di Spencer, dell’Iowa e presto anche degli altri stati d’America e oltre. Lo conoscevano dappertutto non solo per il suo drammatico ritrovamento, ma per la grande sensibilità che gli faceva capire chi e quando aveva maggiormente bisogno di attenzioni, prodigandole con naturalezza. Ormai capitavano in biblioteca anche abitanti di città lontane che viaggiavano per centinaia di chilometri allo scopo di vederlo e lui sapeva come farli contenti e non deludere le loro aspettative, quelle di ogni essere vivente: uno sguardo, un gesto, un segno di attenzione, di riconoscimento. Era diventato il vero re della biblioteca, educato, attento a non fare danni anche quando restava solo durante la notte. Nei giorni di chiusura veniva portato a casa di Vicky e gli toccava ogni tanto qualche visita dal veterinario, ma con le sue zampette non uscì mai. Solo una volta la curiosità lo aveva attirato fuori, dove era stato bloccato alcuni giorni e si era tanto spaventato da non provarci più. Per diciannove anni aveva dato a quel centro di cultura qualcosa che nessun altro avrebbe potuto offrire: quella spontaneità innocente, quella tenerezza che vince anche i più rigidi e resta per sempre nel ricordo.
Questa storia per esteso è stata pubblicata nel libro “Io e Dewey”
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