L’isola di Arturo
Uno dei più bei romanzi di Elsa Morante, del 1957, ha la capacità di sollevare il lettore in un’atmosfera fatata, nonostante i rapporti umani molto conflittuali e frustranti che lo intessono interamente. Fa capire quanto il senso di inadeguatezza, la gelosia, l’invidia guastino la vita delle persone, deformino la visione delle cose, si traducano in tormento per tutti. Spesso sono mescolate all’amore ma l’avvelenano, facendogli prendere le forme dell’odio.
Lo spirito creativo e poetico del protagonista trasfigura, però, ogni cosa, dando anche alla sofferenza un’aura senza la quale tutto sarebbe solo rovina. Ogni tanto emerge la consapevolezza che, per un tempo breve riporta le cose al posto che compete loro, ma solo alla fine riesce a dare pace dove, altrimenti, ci sarebbe solo vendetta e fuga.
I pregiudizi di cui è intrisa l’atmosfera in cui nasce e cresce il protagonista, il modo di amare del padre, sempre con ruoli in cui di volta in volta si è schiavi o padroni, condizionano fortemente anche i sentimenti del ragazzo. Nonostante questo, a momenti riesce a guardare e dunque a vedere dentro sé stesso per capire ciò che veramente desidera e ad orientarsi meglio. Una volta sfuggito alla seducente schiavitù della casa paterna, riuscirà a farlo in modo più profondo usando il potente strumento creativo che è la scrittura.