Museo del bosco e del cervo della Mesola (FE)
Un buon punto per iniziare a comprendere i luoghi dove il fiume Po termina il suo lungo scorrere, è il castello di Mesola, appena si entra in Emilia Romagna dopo aver lasciato il Veneto. Nelle sale del cinquecentesco castello estense, infatti, sono illustrate le trasformazioni del territorio acquitrinoso, avvenute negli ultimi quattrocento anni.
Il Duca d’Este, dopo il terribile terremoto di Ferrara nel 1570 aveva concentrato l’impegno verso la bonifica degli acquitrini con una fitta rete di canali, in modo da prosciugare i terreni e destinarli all’agricoltura. Così i tanti ferraresi che avevano abbandonato la capitale, avevano trovato in Mesola delle nuove opportunità.
Il castello, costruito quasi alla foce del fiume sul quale un tempo si svolgeva un grande traffico commerciale, oltre alle molte attività artigianali e alla pesca, aveva impensierito i veneziani che avevano mandato spie per sorvegliare le attività dei possibili concorrenti nel trasporto e nella vendita delle merci. Per tutelarsi, i veneti avevano costruito il canale chiamato Taglio di Porto Viro, sul proprio territorio, per far depositare i sedimenti del Po nel braccio di Mesola e impedire così che venisse usato a loro danno.
Era stata anche la passione per la caccia a spingere Alfonso II d’Este a farsi costruire il castello in una zona dove abbondava soprattutto il cervo, che per la sua bellezza suscitava brame venatorie anche presso la corte francese, frequentata dal ferrarese. Gli animali selvatici venivano dapprima catturati e confinati all’interno dei “barchi” (recinti) per essere liberati prima della battuta di caccia. Questa era organizzata in modo da diventare uno spettacolo per chi non partecipava all’inseguimento ma assisteva solo all’uccisione delle prede sfinite, spinte verso una radura.
Al cervo di questa zona, diverso dagli altri presenti in Italia, è dedicato il secondo piano del castello, dove sono illustrate le sue particolarità e quelle del bosco in cui vive, oltre che la sua importanza nella storia, nella tradizione, nell’arte.
Nei filmati che si susseguono nelle sale del castello, insieme ai molti pannelli illustrativi, si possono vedere le testimonianze delle attività numerose in questa zona fino a dopo la seconda guerra mondiale come il trasporto fluviale e la pesca, a cui erano legate molte attività artigianali.
A soli quattro chilometri di distanza, a Santa Giustina, si potrà visitare la bella chiusa di Torre Abate, in mezzo all’acquitrino dedicato alla pesca sportiva, dove prospera la cannuccia di palude utilizzata nei secoli per la copertura dei tetti delle case di contadini e pescatori, (vedi articolo) l’iris giallo, depuratore delle acque insieme alle altre erbe di plaude, i pioppi e i salici. Ci sono anche i pini domestici da cui si ottengono gli squisiti pinoli e le belle tamerici che sono di casa nelle zone marittime. Nella torre sono esposte foto che illustrano le attività del delta fino agli anni cinquanta. Si potrà poi passeggiare nel Boscone della Mesola, a pochi chilometri di distanza.