Museo etnografico di San Pellegrino in Alpe (LU)
Il borgo alla maggiore altitudine dell’Appennino, a quota 1525, possiede una delle collezioni di oggetti d’uso dei contadini di una volta, più suggestivi della Toscana: il Museo etnografico di San Pellegrino in Alpe. Chi si trova in vacanza all’Abetone può fare un’esplorazione del passato, ma anche della natura che si trova nell’aura di ogni oggetto umano, dentro le stanze costruite per accogliere i viandanti che dalla zona di Modena scendevano verso Lucca e il mare. Il leggendario san Pellegrino stesso, che viveva in solitudine da queste parti, riposa da secoli accanto a san Bianco in un’urna della chiesa, sotto il tempietto di marmo di Matteo Civitali. Pellegrini era il cognome di don Luigi, il parroco che ha salvato dalla distruzione i tanti oggetti e i mobili di cui i contadini volevano disfarsi negli anni sessanta del novecento e che adesso, nei 14 locali del museo, ci aiutano a vedere come si viveva un tempo. Pellegrini veri ce ne saranno pochissimi, ma possiamo immedesimarci facilmente nel ruolo, in un luogo così isolato e tranquillo, facendo attenzione a quanto la natura sia presente anche dove sembra più lontana.
La si trova già nel seminterrato dell’antico edificio in pietra, più fresco e adatto a conservare cibi e bevande come il vino e la grappa. C’è il necessario per produrre e mantenere entrambi con contenitori di rame, -estratto dalle miniere non troppo lontane- e di vetro, ottenuto fondendo sabbia, soda, potassa e calce nelle fornaci di argilla refrattaria, tenuti accesi costantemente con la legna degli alberi. Torchi, bigonce e botti sono fatti col legno dei castagni, tanto diffusi soprattutto in passato in queste zone, coltivati con attenzione perché producessero buoni frutti da mangiare bolliti, arrostiti o trasformati in farina per nutrienti pietanze. Cesti che hanno contenuto frutta, erbe, prodotti dei campi e degli orti, devono ai rametti di salice l’intreccio flessibile, robusto e leggero, che avvolge anche le damigiane e i fiaschi, che in altri luoghi hanno rivestito di foglie di carice. Strisce intrecciate di robusto legno di castagno servivano addirittura a realizzare la conca di ammollo delle lenzuola, da lavare con la potassa ottenuta mescolando nell’acqua bollente la cenere di faggi bruciati per scaldare la casa e cuocere il cibo. I loro frutti, le faggiole, erano state foraggio per gli animali o spremute per estrarne olio e con le foglie si potevano imbottire i materassi. Il letto matrimoniale della stanza da letto del museo, però, ne ha uno pieno di quelle di mais, seccate dopo che i semi del cereale americano erano diventati farina per la polenta e i torsoli avevano sfamato i maiali.
Sui muri del museo etnografico di San Pellegrino in Alpe sono appesi pannelli che spiegano l’uso degli oggetti esposti e lo stile di vita in un’epoca in cui ancora in pochi sapevano leggere e scrivere e la carta era fatta con le fibre degli stracci, invece di quelle del legno, utilizzate da quando la produzione di libri e fogli è cresciuta enormemente.
Fibre di canapa sono invece quelle della bella coperta colorata e del lenzuolo. Un tempo canapa e lino si coltivavano dappertutto e le donne li filavano e tessevano su telai di legno, tingendo poi con colori ricavati da erbe, terre, sostanze animali o minerali.
Tronchi di castagno regolari come colonne svuotate, sono serviti a fare un armadio e una cassapanca fra i più originali. Le travi dei soffitti come gli infissi e le imposte devono al legno dei grandi alberi la loro solidità, così come le pendici dei monti si mantengono compatte con l’intreccio delle radici vive che cuciono la terra alla pietra.
L’ingegno umano e il gusto del bello che ci appagano nel vedere i semplici e funzionali reperti di un passato diventato improvvisamente lontano nel secolo scorso, hanno un’anima vegetale, minerale, animale. Persino le candele, di cui si vedono qui le tappe di lavorazione, dovevano la cera alle api, quando erano destinate ai riti religiosi o a case benestanti. Erano invece di sego, fatto con grasso di bovini, quelle più correnti e dall’olezzo grossolano. Le api qui vivevano selvatiche, perché la troppo breve estate sarebbe stata insufficiente a far produrre miele per le persone.
L’acqua e il fuoco, la terra e l’aria, che ogni giorno ancora sono indispensabili alla nostra vita, sono anche qui ad ogni passo, in ogni cosa, anche se non ce ne accorgiamo, perché siamo tutt’uno con loro, tutt’uno con una natura piena di risorse e creatività, di difficoltà e di soluzioni.
www.sanpellegrinoinalpe.it/museo-etnografico-san-pellegrino.html
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