Ontano, l’originale
Pioppi, salici e ontani, amici dell’acqua e della sabbia, crescono per questo volentieri vicino ai torrenti e ai fiumi. Contrariamente ad altre specie che possono vivere per centinaia di anni, rimangono sulla terra per lo stesso periodo di un’esistenza umana o poco più. Non sempre questo significa la fine perché gli alberi, che hanno reso possibile la venuta di animali e uomini, sembrano vivere oltre la morte. Il legno, infatti, dopo aver perso la capacità di generare e rigenerarsi, continua a rispondere al mondo. Falegnami, carpentieri e scultori sanno che il loro carattere si rivela anche quando diventano mobili, pali o sculture. Emanano profumo, muovono o irrigidiscono le loro fibre, cambiano colore fino a che ne resta una scheggia.
Gli ontani detti “neri” hanno le foglie larghe color verde scuro e la punta rientrata, a differenza della maggior parte degli altri alberi che usano la punta per far meglio defluire l’acqua. Inoltre crescono in pianura, mentre quelli “bianchi” dalle foglie più chiare e piccole, con la punta sporgente, stanno meglio in montagna, fino ai 1900 metri e, con le loro radici ramificate e profonde, trattengono i ghiaioni come i pini mughi, vivendo bene anche in zone calcaree che quelli neri non gradiscono. Gli ontani napoletani vivono al sud, insieme ad altri alberi e hanno foglie ben diverse. Si riconoscono sempre, però, dai frutti, le piccole pigne legnose che nessun’altro albero di latifoglie possiede e che sono tipiche di molte conifere.
Quando si tagliano, il legno giallo diventa rosso. Con la corteccia si possono tingere i tessuti di rosso o marrone, con i fiori si ottiene il verde. Le loro braci sono quelle che emanano maggior calore e per questo erano predilette dai fabbri e dai vasai. La familiarità con l’acqua li fa diventare duri e resistenti per millenni, quando vi sono immersi dopo il taglio. Fino ad allora mostrano che sono sempre in vita anche quando perdono le foglie. Prima del letargo d’inverno, sulle punte dei rami fanno spuntare le infiorescenze maschili rosse che scaldano lo squallore del legno e rassicurano sulla ripresa primaverile. Diventeranno frutti legnosi, con minuscole pigne e ancora più minuscoli semi. Le loro radici, profonde e salde, come quelle delle leguminose vivono in simbiosi con i batteri che fissano l’azoto nel terreno, migliorandone molto la fertilità.
Col loro legno i romani facevano strade sopraelevate nella zona di Ravenna. Negli anni in cui l’impero era decaduto ed i popoli Longobardi stavano scendendo dal Nord, molti abitanti delle città adriatiche fuggivano cercando rifugio nelle lagune. L’acqua bassa permetteva alla vegetazione di estendersi per chilometri, offrendo ospitalità a chi ne conosceva la mutevole geografia.
Hanno avuto allora l’idea di costruire una città sugli isolotti precari a nord della foce del Po, dove sarebbero stati al sicuro. C’era bisogno di fondamenta solide, fatte di tanti pali da piantare nel terreno cedevole e gli ontani, che crescevano numerosi, erano adatti a quella funzione. Venezia dalle fondamenta simili a radici ha iniziato così la sua vita, che gli alberi hanno sostenuto fino nelle travi, negli infissi e nei mobili antichi.
Tratto dal mio libro ALBERI DELLA CIVILTA’
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