Processo alle locuste tartare
Il 24 Agosto del 1339, sui tetti delle case di campagna tutt’intorno a Bolzano, si era sentito un rumore come se avessero cominciato a cadere chicchi di grandine. Ma la terribile nuvola nera che stava arrivando da Est ed aveva devastato già la Polonia, non portava un temporale. Con orrore, i contadini avevano visto una moltitudine infernale di grosse locuste scure precipitarsi sui campi, ben più dure e più grosse dei pur temuti chicchi ghiacciati. Un gran rumore di masticazione veniva dai frutteti, dai campi, dagli orti coperti da una brulicante, disgustosa massa bruna di insetti. Qualcuno aveva cercato di scacciarli, ma la maggior parte della gente rimaneva inorridita a guardare gli steli dei cereali, le verdure, le vigne i rami degli alberi restare completamente spogli man mano che quelle bestie li lasciavano dopo essersi rimpinzate di ogni foglia, chicco, bacca, frutto. La campagna veniva scorticata proprio nel giorno che commemora san Bartolomeo, martirizzato con la scuoiatura!
Forse era un castigo di Dio per qualche grave peccato. Non si era forse vendicato degli ebrei e anche degli egiziani, nell’antichità, per mezzo delle cavallette? Appena si erano ripresi dallo stupore, i preti avevano radunato i fedeli per pregare, far penitenza e processioni, chiedere la clemenza divina, promettere di emendarsi.Tutto, però, era stato inutile. Si era tentato di ucciderle, ma si riproducevano con tale rapidità che la moltitudine non ne era intaccata. Ciò che era stato lasciato da uno sciame veniva mangiato da quello nuovo e ben presto non sarebbe rimasto più niente. La gente sarebbe morta di fame.
Di peccati tanto terribili da meritare un simile flagello non sembrava ce ne fossero stati. Allora doveva essere opera del demonio. Tante morivano e restavano per terra, mostrando ali e zampe ben più lunghe di quanto non fossero mai state viste, corpi più grossi e scuri di quelle che vivevano nei prati. Da cavallette si erano trasformate in locuste, giustamente così definite in latino “loca usta”, luoghi bruciati, perché così appariva la vegetazione dopo il loro passaggio. Quella mutazione avveniva quando loro stesse, a causa di qualche malanno che le aveva private del cibo, dovevano migrare dai luoghi dove avevano vissuto in origine. Venivano da lontano, da oltre l’Ungheria, dalla patria dei tartari.
Il tribunale ecclesiastico di Caldaro, già a quei tempi conosciuto per le sue buone vigne, si era riunito per prendere provvedimenti. Avevano certo portato in aula una rappresentanza di quelle bestie, a cui era stato concesso conformemente alla legge, un avvocato difensore. Tutti ne avevano diritto. Il legale le aveva difese affermando che, in quanto animali privi di ragione, non potevano essere ritenuti criminali e che Dio aveva concesso loro la facoltà di nutrirsi di vegetali, anche se questo avesse dovuto danneggiare gli uomini. Era stato replicato che, più che una punizione per un reato, il processo aveva lo scopo di evitare altri danni e che era legittimo difendersi, anche contro chi non fosse in grado di intendere e di volere. La sentenza, dunque, intimava alle locuste di andarsene entro pochi giorni, o sarebbero state maledette. Oltre che su di una notifica scritta, la decisione era stata diffusa dai pulpiti delle chiese, così che in ogni parrocchia le condannate fossero avvertite. I pestiferi insetti, però, non avevano ubbidito ed erano stati colpiti dal minacciato anatema. Così, anche se neppure questo aveva avuto l’immediato effetto di allontanare il flagello, perché il popolo aveva ritardato nel pagare le decime e meritava d’essere punito, alla fine se ne erano andate. Non restava che mettersi di nuovo con pazienza, al lavoro dei campi.
estratto dal mio libro Animali, favolose storie vere