Transumanza delle api
Ai tempi dell’antica Roma, la perfetta organizzazione nel lavoro e nella vita delle api era molto ammirata e, per appropriarsi del dolce cibo e della cera senza danneggiarle, le arnie che erano loro offerte, costruite con paglia o ramoscelli, avevano uno sportello posteriore per il prelievo del miele. Vedendole andare e tornare sicure anche da lontano, per poco che non piovesse e non facesse troppo freddo, gli apicoltori dell’impero che abitavano la valle del Po, avevano cominciato a farsi nomadi. Risalivano coi barconi il fiume al seguito delle fioriture, che dalla foce progredivano verso l’interno, man mano che la bella stagione avanzava. Così avevano sempre fatto anche gli egiziani lungo il Nilo, per aumentare la produzione e la varietà di miele.
La sera, quando tutte le api erano rientrate, le arnie artificiali erano caricate sulle imbarcazioni che nella notte si spostavano e, prima che sorgesse il sole, erano già installate nei prati dove i fiori stavano per aprire le corolle. La distanza rispetto al posto appena lasciato doveva essere superiore ai tre chilometri, altrimenti le bottinatrici vi sarebbero ritornate. Il clima umido e poco ventoso aiutava gli insetti ad adattarsi al paesaggio e ad iniziare nuove esplorazioni e raccolte. Apicoltori ed api compivano una transumanza simile a quella delle greggi di pecore. In autunno, scendevano di nuovo verso valle e spesso era dopo Mantova, a Melara, che si fermavano per fare la smielatura.
Nel medioevo anche l’apicoltura era decaduta, come la coltivazione della vite e dell’olivo. Chi ancora la praticava, salvo in Puglia e Sicilia, lo faceva coi bugni primitivi, di tronchi d’albero, che con la loro forma costringevano all’uccisione delle api per poterne prendere il cibo. Qualche volta, come era successo a Catanzaro, gli insetti erano anche stati utilizzati come difesa, buttando i bugni ronzanti sul nemico, dall’alto delle mura cittadine.
All’inizio dell’ottocento, sono stati diversi apicoltori a realizzare arnie coi telai mobili, per raccogliere il miele di nuovo nel modo incruento, che ha consentito anche di far prosperare l’attività. Poi è ripreso il nomadismo stagionale, che a volte avveniva in treno o nei carri, dove gli alveari venivano sospesi o appoggiati su giacigli morbidi, per evitare urti e sobbalzi. Gli sloveni lo facevano anche portandoseli sulle spalle, come gerle, dalla Carnia alla Carinzia fino alle Alpi Giulie. Adesso, con la disponibilità di furgoni attrezzati, in tutt’Italia si pratica in modo più massiccio, a volte partendo a gennaio coi mandorli di Sicilia, per risalire verso nord dietro il tepore del sole. Altre volte, in una stessa regione si inizia dal fondovalle coi ciliegi e si sale verso i castagni e poi i rododendri. Oppure si passa la primavera in collina per i fiori di robinia e di sulla, poi si scende in estate in pianura per l’erba medica. Le vibrazioni del motore accesso durante il viaggio calma le api, che appena arrivano nella nuova destinazione, ricominciano i loro voli instancabili.
Articolo tratto dal mio libro Animali, favolose storie vere
Un articolo sui musei delle api lo trovate qui
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